venerdì 23 dicembre 2011

Federica dagli occhi di mare
che lascia il suo porto
e ha voglia di andare.
Federica che come un gabbiano
attraversa il suo mare
diretta a Milano;
prende un treno che è pieno di gente
che si sposta per fare Natale;
mille storie di cui non sa niente
di gente già stanca che scende e che sale.
Lei però coi suoi dodici anni
sa che vuole andare a vedere
come è fatta la neve
e  perché può dal cielo cadere.
……………………………….
Federica dagli occhi di mare
Che vede stazioni veloci passare;
suona a Roma una vecchia zampogna
poi viene Firenze ,si va per Bologna.
Come sale veloce quel treno che si tuffa nelle gallerie,
come fanno i delfini nei giorni d’agosto
seguendo chissà quali vie.
Ma di colpo è un mare di fuoco,
la tempesta si schianta d’intorno.
Il biglietto era solo d’andata e non c’è ritorno.
…………………………………….
Federica dagli occhi di mare,
su quella montagna ti han fatto fermare;
hanno rotto le ali al gabbiano
e tu non hai visto la neve a Milano






martedì 22 novembre 2011

Piero Bruno

Piero
Crescevi insieme a noi
imparavamo tutti
volevamo vivere e provare
riunirci e parlare
amare e lottare
ed eravamo liberi
ci sentivamo bene
e volevamo crescere
ci sentivamo forti,
più forti del padrone.

Ma il buio s'avvicina.
il coro s'allontana
la scalinata in corsa
un braccio che si tende,
di fronte c'è la morte,
la mano preparata
la volontà omicida
la crudeltà inumana,
un foro che si espande,
un tuffo in mezzo al sangue
un grido disperato
il baratro e la fine:
è "morto partigiano".
Crescevi insieme a noi
e questo disturbava
il lurido padrone che guardava,
la sua mano potente
ti ha colpito a morte
colpendo tutto quanto il movimento.
Ma lui certo non sa
che vivi più che mai
e lotti più di prima
ancora insieme a noi
non sa che un giorno lui
un giorno creperà,
per mano dell'idea
che non si può ammazzare
per mano di chi ha pianto
e vuole vendicare,
per la liberazione
di tutti noi sfruttati,
in nome di qualcosa
per cui tu sei morto.
II nome è "comunismo "
la via " rivoluzione "
 
 Fabio

lunedì 26 settembre 2011

STORIA DI MARCELLO LONZI

Storia di Marcello Lonzi morto per cause naturali col corpo pieno di botte

SEMBRA non esserci nulla che coincida con la verità nella ricostruzione fatta dagli inquirenti di quello che successe l' 11 luglio 2003 nella cella 21, sezione sesta, padiglione D del carcere delle Sughere. Nulla che torni nella storia delle ultime ore di Marcello Lonzi, morto a 29 anni nel penitenziario livornese dove era stato rinchiuso tre mesi prima per tentato furto. L' ultimo verdetto, pronunciato in Cassazione a fine marzo, ha ripetuto il primo. Ufficialmente Marcello è morto di infarto, poco dopo essersi sniffato l' ultima dose di gas. Per la madre, Maria Ciuffi,i legaliei consulenti di parte, la versione fa acqua da tutte le parti, è piena di ombre e menzogne, e pensano sia morto di botte. Si muore così nelle prigioni italiane. Se ne vanno quelli con la fedina penale appena sbucciata. Se ne vanno quelli che fanno numero- troppo numero-e fuori alla fine non si sa mai bene perché, come e per colpa di chi. Dopo 8 anni un' idea la danno Luigi Manconi e Valentina Calderone, che hanno inserito il caso Lonzi in Quando hanno aperto la cella. Stefano Cucchi e gli altri libro inchiesta sui buchi neri delle galere d' Italia. «Per la procura di Livorno la dinamica è chiara fin da subito. Lonzi, vita da tossicodipendente, è morto per cause naturali. Ha avuto un attacco cardiaco e cadendo ha sbattuto la testa contro le sbarre», racconta Calderone, giovane coautrice del libro. Niente di più. Tanto che il pm chiede l' archiviazione nel luglio 2004 e il gip chiude il fascicolo nel dicembre dello stesso anno. Anche se un mese prima sul sito anarcotico.it erano apparse le foto shock della cella 21. Lonziè steso all' interno con la testa rivolta verso la porta. Il viso è pieno di ferite, il collo, la schiena tumefatti. Sul pavimento ci sono macchie di sangue, alcune da trascinamento, altre da sgocciolamento. «Una delle tante contraddizioni racconta Calderone - Per la procura erano state create dalle operazioni del medico legale. Il corpo era stato spostato fino in corridoio per facilitare i rilievi, dicono. Per alcune tracce la circostanza trova riscontro, ma altre sono gocce, come quelle che cadono dal naso o da un sopracciglio spaccato». Un' incongruenza non da poco, visto che la procura ha sempre sostenuto una dinamica tutta interna alla cella. Nei mesi e negli anni si aprono altri tunnel senza uscita. E conducono tutti verso il pestaggio. «Si scopre che i secondini organizzavano squadrette punitive e portavanoi detenuti nei sotterranei»; che l' agente che ha firmato il verbale sulla morte di Lonzi quel giorno non era in servizio. Poi il corpo viene riesumato: le costole rotte non sono due ma otto. Si riapre anche una seconda indagine, ma alla fine il risultato è lo stesso. «Morte per cause naturali». Non l' accetta Maria Ciuffi, che ieri è tornata a manifestare a Pisa, dove risiede. Con lei 20 persone si sono riunite in presidio in piazza Guerrazzi. «Non mi arrendo - dice - continuerò a cercare la verità e a pretendere giustizia». L' ultima speranza ora è la Corte dei diritti dell' uomo a Strasburgo. - MARIO NERI
 

lunedì 22 agosto 2011

Omicidi, non morti bianche

                                                                                           http://www.associazioneproandrea.it/

venerdì 12 agosto 2011

Fausto e Iaio

                                          http://www.radio24.ilsole24ore.com/blog/biacchessi/?p=371

Odio gli indifferenti

Odio gli indifferenti.

Odio gli indifferenti. Credo che vivere voglia dire essere partigiani. Chi vive veramente non può non essere cittadino e partigiano. L’indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita. Perciò odio gli indifferenti.
L’indifferenza è il peso morto della storia. L’indifferenza opera potentemente nella storia. Opera passivamente, ma opera. È la fatalità; è ciò su cui non si può contare; è ciò che sconvolge i programmi, che rovescia i piani meglio costruiti; è la materia bruta che strozza l’intelligenza. Ciò che succede, il male che si abbatte su tutti, avviene perché la massa degli uomini abdica alla sua volontà, lascia promulgare le leggi che solo la rivolta potrà abrogare, lascia salire al potere uomini che poi solo un ammutinamento potrà rovesciare. Tra l’assenteismo e l’indifferenza poche mani, non sorvegliate da alcun controllo, tessono la tela della vita collettiva, e la massa ignora, perché non se ne preoccupa; e allora sembra sia la fatalità a travolgere tutto e tutti, sembra che la storia non sia altro che un enorme fenomeno naturale, un’eruzione, un terremoto del quale rimangono vittime tutti, chi ha voluto e chi non ha voluto, chi sapeva e chi non sapeva, chi era stato attivo e chi indifferente. Alcuni piagnucolano pietosamente, altri bestemmiano oscenamente, ma nessuno o pochi si domandano: se avessi fatto anch’io il mio dovere, se avessi cercato di far valere la mia volontà, sarebbe successo ciò che è successo?
Odio gli indifferenti anche per questo: perché mi dà fastidio il loro piagnisteo da eterni innocenti. Chiedo conto a ognuno di loro del come ha svolto il compito che la vita gli ha posto e gli pone quotidianamente, di ciò che ha fatto e specialmente di ciò che non ha fatto. E sento di poter essere inesorabile, di non dover sprecare la mia pietà, di non dover spartire con loro le mie lacrime.
Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.
Antonio Gramsci, 11 febbraio 1917

Peppino Impastato

                                          Felicia Impastato

                                       http://www.peppinoimpastato.com/biografia.htm

Licia Pinelli


http://stragedistato.wordpress.com/2011/03/01/la-denuncia-della-vedova-licia-pinelli-per-omicidio-volontario-da-pinelli-un-suicidio-di-stato-di-marco-sassano-marsilio-editori-1971/

http://www.enciclopediadelledonne.it/index.php?azione=pagina&id=469

giovedì 11 agosto 2011

La storia siamo noi - Valerio Verbano Un omicidio anomalo

http://www.lastoriasiamonoi.rai.it/puntata.aspx?id=286

"Avevo un figlio Valerio, che riempiva la nostra vita e me lo hanno ammazzato. È caduto sul divano in quell’angolo, aveva la testa dove adesso c’è quel gattino di pezza. Sono stati i fascisti, forse per vendetta perché Valerio faceva parte di Autonomia o forse per paura. Valerio era un loro nemico giurato, stava raccogliendo un dossier sui fascisti del quartiere, chissà ? Ma da quel giorno viviamo con uno scopo, scoprire la verità su nostro figlio. Dare un nome ai tre assassini che ce l’ hanno ucciso davanti agli occhi. Se la sua morte rimarrà un mistero. Mio figlio sarebbe ucciso per la seconda volta"

Walter Rossi


                                            http://www.walterrossi.it/

Franco Serantini

                                                Franco Serantini

                                           http://www.anarca-bolo.ch/a-rivista/281/dossier.htm

mercoledì 10 agosto 2011

Intervista a Danila Tinelli


http://www.youtube.com/watch?v=rm6ivtSZseo

L'appello di Carla Verbano


http://www.youtube.com/watch?v=qKwIqr8DI2M

Epitaffio di Carl Hamblin (dall'Antologia di Spoon River di Edgar Lee Masters )

La macchina del “Clarion” di Spoon River venne distrutta,
e io incatramato e impiumato,
per aver pubblicato questo, il giorno che gli anarchici furono impiccati a Chicago:
“Io vidi una donna bellissima, con gli occhi bendati
dritta sui gradini di un tempio marmoreo.
Una gran folla le passava dinanzi,
alzando al suo volto il volto implorante.
Nella sinistra impugnava una spada.
Brandiva questa spada,
colpendo ora un bimbo, ora un operaio,
ora una donna che tentava ritrarsi, ora un folle.
Nella destra teneva una bilancia;
nella bilancia venivano gettate monete d’oro
da coloro che schivavano i colpi di spada.
Un uomo in toga nera lesse da un manoscritto:
‘Non guarda in faccia a nessuno’.
Poi un giovane col berretto rosso
balzò al suo fianco e le strappò la benda.
Ed ecco, le ciglia eran tutte corrose
sulle palpebre marce;
le pupille bruciate da un muco latteo;
la follia di un’anima morente
le era scritta sul volto.
Ma la folla vide perché portava la benda”.
                                         Giuseppe Pinelli
 

la favola del colibrì

Un giorno nella foresta scoppiò un grande incendio.
Di fronte all’avanzare delle fiamme, tutti gli animali scapparono terrorizzati mentre il fuoco distruggeva ogni cosa senza pietà.
Leoni, zebre, elefanti, rinoceronti, gazzelle e tanti altri animali cercarono rifugio nelle acque del grande fiume, ma ormai l’incendio stava per arrivare anche lì.
Mentre tutti discutevano animatamente sul da farsi, un piccolissimo colibrì si tuffò nelle acque del fiume e, dopo aver preso nel becco una goccia d’acqua, incurante del gran caldo, la lasciò cadere sopra la foresta invasa dal fumo.
Il fuoco non se ne accorse neppure e proseguì la sua corsa sospinto dal vento.
Il colibrì, però, non si perse d’animo e continuò a tuffarsi per raccogliere ogni volta una piccola goccia d’acqua che lasciava cadere sulle fiamme.
La cosa non passò inosservata e ad un certo punto il leone lo chiamò e gli chiese:
“Cosa stai facendo?”. L’uccellino gli rispose: “Cerco di spegnere l’incendio!”.
Il leone si mise a ridere: “Tu così piccolo pretendi di fermare le fiamme?” e assieme a tutti gli altri animali incominciò a prenderlo in giro. Ma l’uccellino, incurante delle risate e delle critiche, si gettò nuovamente nel fiume per raccogliere un’altra goccia d’acqua.
A quella vista un elefantino, che fino a quel momento era rimasto al riparo tra le zampe della madre, immerse la sua proboscide nel fiume e, dopo aver aspirato quanta più acqua possibile, la spruzzò su un cespuglio che stava ormai per essere divorato dal fuoco.
Anche un giovane pellicano, lasciati i suoi genitori al centro del fiume, si riempì il grande becco d’acqua e, preso il volo, la lasciò cadere come una cascata su di un albero minacciato dalle fiamme.
Contagiati da quegli esempi, tutti i cuccioli d’animale si prodigarono insieme per spegnere l’incendio che ormai aveva raggiunto le rive del fiume.
Dimenticando vecchi rancori e divisioni millenarie, il cucciolo del leone e dell’antilope, quello della scimmia e del leopardo, quello dell’aquila dal collo bianco e della lepre lottarono fianco a fianco per fermare la corsa del fuoco.
A quella vista gli adulti smisero di deriderli e, pieni di vergogna, incominciarono a dar manforte ai loro figli. Con l’arrivo di forze fresche, bene organizzate dal re leone, quando le ombre della sera calarono sulla savana, l’incendio poteva dirsi ormai domato.
Sporchi e stanchi, ma salvi, tutti gli animali si radunarono per festeggiare insieme la vittoria sul fuoco.
Il leone chiamò il piccolo colibrì e gli disse: “Oggi abbiamo imparato che la cosa più importante non è essere grandi e forti ma pieni di coraggio e di generosità. Oggi tu ci hai insegnato che anche una goccia d’acqua può essere importante e che «insieme si può» spegnere un grande incendio. D’ora in poi tu diventerai il simbolo del nostro impegno a costruire un mondo migliore, dove ci sia posto per tutti, la violenza sia bandita, la parola guerra cancellata, la morte per fame solo un brutto ricordo”.

todo cambia

http://www.youtube.com/watch?v=4zLeKccnEuo

1977

http://www.fotoenricoscuro.it/movimento-studenti-1977-bologna/

Carlo Giuliani

Valerio Verbano

http://www.valerioverbano.it/dblog/

Fausto e Iaio

http://www.faustoeiaio.org/html/librobiacchessi.htm

(a Vittorio Arrigoni ucciso a Gaza) di Giuseppe Spinillo

Ucciso ai confini del giorno 
sulle onde del tempo
quando gli occhi di uno
sanno essere gli occhi di tutti
dentro un buio
che ora sibila accanto
ancora più buio, notte infame
non sapevi iniziare
ora non vorrai più finire.
Niente d’altro, sempre ingiusto
dentro il petto ci stride
quel canto, a ritroso
le parole non si sanno trovare
scavallare, per amore
per amore si può anche morire
ma che almeno
resti in piedi il sogno concreto
per il quale, salpa nave
e non smettere mai il navigare.
Gaza infame, gabbia aperta
alle stelle, vieni e fatti abbracciare
e consola il tuo figlio più bello
e respiragli il fiato sul viso
che ora lui non sa più respirare.

Uomini e no

"Non bisogna" il vecchio disse, "piangere per loro".
"Non bisogna piangere?" disse Berta.
"No figliola. Non del sangue che oggi e' sparso".
"Non dell'offesa? Non del dolore?"
"Se piangiamo accettiamo. Non bisogna accettare".
"Gli uomini sono uccisi e non bisogna piangere?"
"Certo che no! Che facciamo se piangiamo? Rendiamo inutile ogni cosa che e' stata".
[...]
"Ma che dobbiamo fare?"
"Oh!" il vecchio rispose "Dobbiamo imparare".
"Imparare dai morti?"
"Si capisce. Da chi si puo' imparare se non da loro? Loro soltanto insegnano".
"Imparare che cosa?" chiese Berta. "Cos'e' che insegnano?".
"Quello per cui" il vecchio disse "sono morti".

Elio Vittorini

martedì 9 agosto 2011

poesia

"Tu mi lasciasti,andando per la tua via.
pensai che t'avrei pianto e conservato
la tua solitaria immagine nel mio cuore,
scolpita in una canzone dorata.
Ma,ahimè,il tempo fugge.
La gioventù passa presto,i giorni di primavera
trascorrono rapidi,i fragili fiori muoiono in un soffio,
e il saggio mi avverte che la vita non è
che una goccia di rugiada su una foglia di loto.
Dovrei trascurare tutto questo,ricordando
solo quella che m'ha abbandonato?
sarebbe assurdo e inutile perchè il tempo fugge.
Venite,allora,mie notti piovose,con rapidi,
piccoli passi;sorridi mio autunno d'oro;vieni
spensierato aprile;datemi i vostri baci.
Tu vieni,e tu,e anche tu!
Amori miei,sapete che siamo mortali!
Non sarebbe follia spezzare il mio cuore
per una che mi tolse il suo?Il tempo fugge.
E' dolce sedersi in un angolo e scrivere
in rima che tu sei il mio mondo.
E' eroico alimentare il proprio dolore
e rifiutare ogni conforto.
Ma un viso fresco mi guarda dal limitare della porta
e fissa i suoi occhi nei miei.
Asciugo le mie lacrime e cambio tono della mia canzone.
Perchè il tempo fugge." TAGORE