lunedì 26 settembre 2011

STORIA DI MARCELLO LONZI

Storia di Marcello Lonzi morto per cause naturali col corpo pieno di botte

SEMBRA non esserci nulla che coincida con la verità nella ricostruzione fatta dagli inquirenti di quello che successe l' 11 luglio 2003 nella cella 21, sezione sesta, padiglione D del carcere delle Sughere. Nulla che torni nella storia delle ultime ore di Marcello Lonzi, morto a 29 anni nel penitenziario livornese dove era stato rinchiuso tre mesi prima per tentato furto. L' ultimo verdetto, pronunciato in Cassazione a fine marzo, ha ripetuto il primo. Ufficialmente Marcello è morto di infarto, poco dopo essersi sniffato l' ultima dose di gas. Per la madre, Maria Ciuffi,i legaliei consulenti di parte, la versione fa acqua da tutte le parti, è piena di ombre e menzogne, e pensano sia morto di botte. Si muore così nelle prigioni italiane. Se ne vanno quelli con la fedina penale appena sbucciata. Se ne vanno quelli che fanno numero- troppo numero-e fuori alla fine non si sa mai bene perché, come e per colpa di chi. Dopo 8 anni un' idea la danno Luigi Manconi e Valentina Calderone, che hanno inserito il caso Lonzi in Quando hanno aperto la cella. Stefano Cucchi e gli altri libro inchiesta sui buchi neri delle galere d' Italia. «Per la procura di Livorno la dinamica è chiara fin da subito. Lonzi, vita da tossicodipendente, è morto per cause naturali. Ha avuto un attacco cardiaco e cadendo ha sbattuto la testa contro le sbarre», racconta Calderone, giovane coautrice del libro. Niente di più. Tanto che il pm chiede l' archiviazione nel luglio 2004 e il gip chiude il fascicolo nel dicembre dello stesso anno. Anche se un mese prima sul sito anarcotico.it erano apparse le foto shock della cella 21. Lonziè steso all' interno con la testa rivolta verso la porta. Il viso è pieno di ferite, il collo, la schiena tumefatti. Sul pavimento ci sono macchie di sangue, alcune da trascinamento, altre da sgocciolamento. «Una delle tante contraddizioni racconta Calderone - Per la procura erano state create dalle operazioni del medico legale. Il corpo era stato spostato fino in corridoio per facilitare i rilievi, dicono. Per alcune tracce la circostanza trova riscontro, ma altre sono gocce, come quelle che cadono dal naso o da un sopracciglio spaccato». Un' incongruenza non da poco, visto che la procura ha sempre sostenuto una dinamica tutta interna alla cella. Nei mesi e negli anni si aprono altri tunnel senza uscita. E conducono tutti verso il pestaggio. «Si scopre che i secondini organizzavano squadrette punitive e portavanoi detenuti nei sotterranei»; che l' agente che ha firmato il verbale sulla morte di Lonzi quel giorno non era in servizio. Poi il corpo viene riesumato: le costole rotte non sono due ma otto. Si riapre anche una seconda indagine, ma alla fine il risultato è lo stesso. «Morte per cause naturali». Non l' accetta Maria Ciuffi, che ieri è tornata a manifestare a Pisa, dove risiede. Con lei 20 persone si sono riunite in presidio in piazza Guerrazzi. «Non mi arrendo - dice - continuerò a cercare la verità e a pretendere giustizia». L' ultima speranza ora è la Corte dei diritti dell' uomo a Strasburgo. - MARIO NERI
 

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